Le mirabilia di Carla Riccoboni
Carla Riccoboni possiede l’arte della meraviglia. Silenziosa, misteriosa, densa. Mai opulenta o troppo evidente. Men che meno noiosa o ripetitiva. I suoi oggetti sono mirabilia in quanto si fanno mirare, prestandosi a sguardi multipli, per poi svelare, a ogni nuovo sguardo, dettagli inediti: una piccola incisione che diventa geometria, un chiaroscuro che trasforma la materia in colore, segni che si inseguono tenaci in texture modulari. Carla ci lascia credere che ciò sia casuale, facile, finanche spontaneo. Non è cosi. Ogni suo pezzo cristallizza sforzi enormi, di progetto come di realizzazione. E’ il frutto di un percorso lungo e accidentato, la immagino affaticata al tavolo da lavoro che sospira, indugia, in un continuo rimando di mani e occhi, finchè non raggiunge esattamente ciò che cercava. L’armonia.
Come spesso accade autore e opere si assomigliano. Carla è una donna minuziosa e operosa, poco incline al mélo e all’auto celebrazione. Di un’eleganza misurata e pacata, stupisce per il rigore della sua ricerca, indomita, che qui diviene componente etica secondo il principio –purtroppo poco applicato nel gioiello italiano contemporaneo- che la ricerca porta innovazione e quindi vantaggio competitivo per le imprese. Carla Riccoboni è, infatti, una progettista che trae spunti progettuali dal vincolo produttivo.
Fin dai primi lavori degli anni Settanta, la Riccoboni appare più incline al superamento delle geometrie meccaniche che ai virtuosismi scultorei del gioiello d’artista. Del resto sono gli anni in cui si va definendo il crinale tra designer e artista, e, come scrive Bruno Munari nel 1971, “L’artista romantico- che una volta si ubriacava e oggi si droga- esiste sempre, al pari del designer esageratamente logico che vuole giustificare tutto quello che fa con ragioni a volte forzate”. Con la consueta ironia Munari fissava i confini dell’artista da quelli del designer, distinguendone non solo il cotè ma anche gli ambiti di riferimento. Ne risultava un identikit tuttora attuale, nonostante siano passati 37 anni e sia l’arte che il design abbiano subito radicali slittamenti di contesto e di senso. Per Munari l’artista lavora per se stesso o per una ristretta élite mentre il designer lavora in gruppo per l’intera comunità allo scopo di migliorarne la produzione sia estetica che pratica. L’artista ha una visione individualistica del mondo e un suo stile personale che visualizza in opere uniche laddove il designer non si occupa di pezzi unici e non ha categorie artistiche entro le quali catalogare la sua produzione. Che si condividano o meno le osservazioni di Munari è innegabile che arte e design siano due ambiti distinti, nonostante l’art-design tenda oggi ad assimilarli. Se, infatti, il design è storicamente legato all’utilità, alla corrispondenza, che, da Vitruvio in avanti, si stabilisce tra un oggetto e la sua destinazione d’uso –ornare, emozionare e divertire inclusi- , l’arte è, al contrario, libera da finalità pratiche, dovendo soddisfare piuttosto un’ambizione culturale o estetica. Nondimeno il design rappresenta una metodologia per recuperare materiali e tecniche delle eccellenze territoriali trasferendo il passato nel futuro e la perizia artigiana nella cultura industriale.
Per queste ragioni considero Carla Riccoboni una delle poche progettiste orafe italiane, il cui talento è pari soltanto al coraggio dimostrato nel portare avanti scelte a dir poco impopolari Lo dimostrano le straordinarie catene ALPHABET realizzate a partire dal 1976: nell’epicentro del distretto della catena Carla indaga le infinite possibilità di sviluppo dell’incastro. E’ un tornare alle origini guardando al futuro. Con passione sviscera l’ars combinatoria di un oggetto che da meccanico diviene poetico, violando la gravità del giunto per poi ricomporsi con inattesa leggerezza. Le ALPHABET sono un canto d’amore per Bassano, le restituiscono una vocazione all’innovazione troppo spesso occultata dalla componente meccanica o da quella commerciale. Si tratta di un progetto che ha messo in luce le straordinarie sinergie possibili tra progettisti e produttori ma che purtroppo non è stato colto appieno. Peccato perché mentre la maggior parte degli artisti orafi italiani è ostinatamente indifferente alle collaborazioni con le aziende orafe (e viceversa) e, cosa ben più grave, al recupero delle eccellenze territoriali, la Riccoboni pratica con commovente determinazione la sostenibilità culturale del territorio, per un’etica della bellezza e una rinnovata cultura del gioiello. MADREFORME è una collezione che appartiene al territorio sia nella genesi degli eventi – lo straordinario patrimonio di madre-forme di Angelo Tovo miracolosamente salvato dall’oblio- che nella capacità di trasferire i valori della tradizione in un’estetica contemporanea. E’ una collezione di singolare maturità espressiva, dove il rigore delle forme esalta l’intensità della superficie. Nell’”era della spettacolarizzazione” la Riccoboni rinuncia consapevolmente a qualsiasi coup de théâtre – di materiale, funzione o significato- a favore della grazia silente di fiori, cornici, raggi di sole che si avvicinano, si intersecano, si sovrappongono in spume di merletto, mappe cifrate di chiaroscuri che si succedono con grafia intensa.
Alba Cappellieri
Professore di design del Gioiello al Politecnico di Milano
Direttore del Master in Fashion Accessories, Corso di Alto Perfezionamento di Design del Gioiello Direttore del Museo del Gioiello di Vicenza